Csi Clai all'Università con "Che genere di partecipazione sportiva"

Csi Clai all'Università con "Che genere di partecipazione sportiva"

Sport, e quindi anche pallavolo, e psicologia sono da sempre strettamente collegati tra loro, al punto che anche le Università ne fanno un argomento di ricerca per cercare di combattere stereotipi sociali.

L’Università che sceglie la pallavolo come punto di riferimento per le proprie ricerche è l’Università di Modena e Reggio Emilia, che in collaborazione con l’Università di Verona, ha dato il via al progetto “Che genere di partecipazione sportiva?” in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella persona della dott.ssa Eleonora Crapolicchio a cui Csi Clai ha favorevolmente risposto alla chiamata coinvolgendo ragazze e allenatori.

Il progetto è rivolto a ragazzi e ragazze del minivolley a cui hanno aderito ragazze e allenatori del gruppo di Monica Risaliti e Lucia Tellarini, del gruppo di Valentina Balzani e Giada Chiapatti, ed del gruppo di Benedetta Emiliani e Lorenzo Malavolti.

A tirare le fila del progetto sono la Dott.ssa Elisa Bisagno, assegnista di ricerca presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, insieme alla Prof.ssa Francesca Vitali, docente e ricercatrice presso l’Università degli Studi di Verona. Ed è proprio la Dott.ssa Bisagno a descrivere i dettagli del progetto

“Questo studio vuole sviluppare il tema della pari opportunità di genere dentro e fuori lo sport. Lavorando attraverso lo sport, infatti, vogliamo raccogliere informazioni per cercare di produrre un cambiamento sociale nel modo in cui le differenze di genere sono pensate per combattere gli stereotipi. Spesso tutti noi ci portiamo addosso delle etichette per il fatto di essere femmine o maschi. Questo si traduce in comportamenti e modi di pensare spesso limitanti soprattutto per il genere femminile, ma in alcuni casi anche per il genere maschile. Spesso le femmine pensano di non poter ricoprire determinati ruoli di potere per il fatto di possedere un’indole non adatta. Il nostro scopo è quello di attaccare questi stereotipi. Lo sport può aiutarci a raggiungere questo obiettivo perché con lo sport i ragazze e ragazzi sperimentano le loro capacità, e per il fatto di essere un contesto educativo. In questo studio ci rivolgiamo a giovani di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni ed ai loro allenatori. Il motivo per cui abbiamo scelto questa fascia di età sta nel fatto che i più giovani sono meno condizionati dagli stereotipi che vogliamo combattere: li riconoscono, ma non sono ancora cristallizzati, e perciò il margine per un intervento efficace è più ampio. Gli allenatori sono coinvolti, in qualità di educatori, con l’obiettivo di veicolare correttamente i messaggi da far passare.”